by Scott K. Fish
Traduzione di Agostino Marzoli[1]
William “Sonny” Greer è nato a Long Branch, New Jersey, il 13 dicembre 1903. “Non ero un bambino ricco”, ricorda, “ma non me la passai mai male. Eravamo una famiglia felice. Mia madre e mio padre erano molto religiosi. Mia madre era severa con noi. Il mio vecchio era un ‘onorevole scapestrato’! Mio padre era in grado di tirar fuori dal nulla vino, birra o whiskey! Avevo due sorelle e un fratello e l’amore tra noi era egualmente distribuito”.
Sonny fu il cuore pulsante di una delle più grandi orchestre d’America, la Duke Ellington Orchestra, dal 1923 al 1951. Di certo uno dei migliori batteristi di bigband del jazz, Sonny suonava un enorme drum set per l’epoca, sempre in una maniera musicale e spesso comica. Il suo rimpiazzo nell’orchestra di Ellington fu Louis Bellson! Sonny vive con sua moglie Millie, che conobbe al Cotton Club negli anni Venti. Sono entrambi persone affascinanti, divertenti e intelligenti, con un’entusiasta memoria del loro passato e Sonny è ancora attivo. Passa il tempo fuori dal suo appartamento a Manhattan a suonare con il suo amico, il pianista Brooks Kerr.[2] Kerr è praticamente un’enciclopedia vivente di Ellingtonia e fu presente a parte di questa intervista.
Ho ascoltato un po’ della musica degli anni ’20 di Ellington la scorsa notte e ho iniziato l’intervista chiedendo a Sonny come fosse differente suonare con un tubista e poi con un contrabbassista.
SG: Un tubista più di tanto non può fare. Non può fare molte cose come un contrabbassista. Non usammo molto la tuba. Però usammo due contrabbassisti.[3] Vedi, un contrabbassista può coprire più terreno di un tubista. Così c’erano molte cose che poteva fare. Un tubista non può fare più di tanto. Un contrabbassista può fare un sacco di cose, come un pianista.
SF: Quale fu la differenza tra suonare con i bassisti Wellman Braud e Jimmy Blanton?
SG: Come il giorno e la notte. Jimmy Blanton era un virtuoso del contrabbasso. Era così bravo, che quando suonavamo a Boston, il contrabbassista della Boston Symphony, Koussevitzky, veniva a vedere Jimmy. Era uno dei contrabbassisti di punta della Boston Symphony e gli piaceva così tanto ascoltare Jimmy. Duke aveva sempre fiuto per i ragazzi in gamba. Koussevitzky era un bravo contrabbassista, ma Jimmy Blanton era il Re! Duke era un volpone. Metteva Blanton davanti a tutti. Koussevitzky era venuto nel backstage e aveva preso una sedia, così la mise proprio sul palco di fianco a Blanton! Non sentì mai nessuno suonare il basso come quello. Nessuno!
Vedi, Braud suonava differentemente, così come Jimmy suonava in un altro modo ancora, ma entrambi avevano energia da vendere! Si scatenavano soltanto quando volevano degli assoli o cose del genere. Poi negli anni Quaranta fu proprio Blanton a suonare il basso. Braud se ne andò nel 1935.
SF: Come ti sei appassionato alla batteria?
SG: Quando ero un bambino, vidi un attore di vaudeville di nome J. Rosamond Johnson. C’era un piano e batteria. Avevano un bellissimo spettacolo e il batterista era alto e molto, molto affabile. Cantava come un usignolo e non vidi mai nessuno suonare la batteria come quel tipo. Rimasero in teatro per una settimana e li andavo a vedere ogni sera.
Più o meno nello stesso periodo, mi intrufolavo furtivamente in una sala da biliardo e mi esercitavo a biliardo perché mi affascinava. Avevo solo 14 anni. Lì c’era lo stesso tipo che suonava la batteria e lo sconfissi a biliardo. Disse: “Ehi, ragazzino! Dove hai imparato a giocare così?”. Dissi: “Oh, da nessuno parte. Ci vuole solo molta concentrazione”. Disse: “Tu mi fai vedere come giocare, ed io ti insegnerò a suonare la batteria!” Quell’uomo era il mio idolo. Dissi: “Affare fatto”. Presi circa cinque o sei lezioni da quel tipo per imparare i fondamentali.
SF: Ascoltavi molta musica da ragazzo?
SG: Ero così impegnato come un diavolo che non avevo la possibilità di ascoltare la musica. Non era come è adesso. Ho sempre amato la musica. Avevamo una pianola a casa, di quelle in cui si inserivano i rulli. Pensavo che quella fosse la fine del mondo.
Quando ero al liceo, avevamo una grande orchestra per le assemblee e cose del genere. Tutti i ragazzi suonavano il violino ed il batterista era il peggiore della band. Non ci avevo fatto caso! Era il più tonto! Non era sveglio in classe. Era solito inventarsi una scusa per uscire dalla classe: “Devo andare ad esercitarmi”. Diceva sempre ai professori: “Vado ad esercitarmi in musica” ed usciva dalla classe al liceo. Sapevo che potevo batterlo. Era orribile. Non riusciva a fare niente. Così l’insegnante di musica, la donna che aveva formato l’orchestra, decise di darmi una possibilità nella band. Era anche la nostra insegnante di lingua ed io ero uno dei suoi alunni bravi. Al di fuori di una scuola completamente integrata, io ero l’unico di colore nella band. Nella mia vita non avevo mai suonato con una band di colore finché non mi trasferii a Washington.
Avevamo un piccolo gruppo al di fuori di quell’orchestra, eravamo in otto. Sapevano suonare e leggere. Avevamo due ragazze che cantavano. Facevo qualsiasi cosa per fare un po’ di soldi. Lavorai anche per una lavanderia a domicilio. Avevo una mappa delle strade. I pescherecci venivano sulle coste del New Jersey e ogni giorno, dopo scuola, andavo lì a fare commissioni per i pescatori. Caricavano di pesce il mio piccolo carretto fatto in casa e nel vicinato divenni l’“uomo pesce”. Facevo anche commissioni per la drogheria! Non mi dispiaceva lavorare. Non ero mai pigro. Facevo sempre qualcosa. Ne ero ossessionato. Volevo sempre fare soldi per darli a mia madre e mio padre.
Feci anche il caddy. I caddy erano apprezzati ed io ero il caddy numero uno di un club molto privato. Facevo il caddy per una delle figlie di Krueger, il più grande produttore di birra dell’Est all’epoca. Un giorno eravamo fuori sul corso; io stavo caricando una pesante borsa. Non avevano golf carts. Così stavamo camminando e prendemmo l’ottava buca nel rough! Questa ragazza in ogni caso non sapeva giocare a golf. Sai come sono i ricchi… C’era un ostacolo d’acqua sull’ottava buca e lei mandò la pallina lì. Disse: “Caddy, va’ a prendere la mia palla”. Era una di quelle palline da golf che galleggiavano. Così mi tolsi le scarpe e mi preparai per entrare nell’acqua quando vidi un serpente! Era nell’acqua con la pallina da golf in bocca! Ho una paura fottuta dei serpenti. Disse: “Caddy, prendi la mia palla” ed io: “No, va’ tu a prenderla!” La lasciai lì sull’ottava buca. Lanciai giù le pesanti borse e me ne tornai a piedi al golf club.
La stessa donna mi vide anni dopo a suonare con Duke alla Carnegie Hall. Venne a salutarmi. Disse a tutti “Lui era il mio caddy” e le persone che erano lì dicevano “Oh, sei pazza. Lui non può aver fatto il caddy per te!”
Dopo che mio padre vide che mi ero dedicato alla musica e che non lo avrei seguito nel fare l’elettricista per la Pennsylvania Railroad, disse: “Non mi interessa cosa tu sei, ma sii il migliore. Non lasciare che qualcuno ti inibisca”. Poiché avanzavo nel suonare la batteria, cominciai a farlo sempre di più.
SF: Quando ti sei trasferito a Washington? E come accadde?
SG: Quand’ero un ragazzino, un’estate presi un lavoro con quattro giovani musicisti che lavoravano nell’orchestra di buca del Red Bank Theater nel New Jersey. Sono cresciuto con Count Basie e Cozy Cole. Basie era sempre voluto essere un batterista. Lui e Cozy erano soliti intrufolarsi nel teatro gratis dicendo che erano i miei aiutanti. Si sedevano nella buca con me. Avevo circa tre pezzi. Count prendeva uno dei miei tamburi, Cozy ne prendeva un altro, io l’altro ancora e così loro non dovevano pagare. Poi presi un lavoro al Plaza Hotel ad Asbury Park, in New Jersey. I Conway Brothers – che erano famosi – mi invitarono a Washington per un weekend dopo la stagione. Così andai. Il secondo giorno che ero lì, stavo giocando a biliardo (il mio primo amore) in una sala da biliardo vicina all’Howard Theater. All’improvviso, il direttore del teatro viene e mi fa: “Ragazzo, mi serve un batterista. Il mio batterista è stato mandato via dalla città da sua moglie. Ha gli alimenti arretrati”. Il batterista era un tipo bizzarro di nome Tootie Perkins, che suonava con una band portoricana. Andai lì e fu la prima volta che vidi Juan Tizol. Rimasi lì per tre anni a suonare per gli spettacoli nella buca. Suonavamo fino all’una del pomeriggio. Poi ottenni un altro lavoro da mezzanotte alle due ed è quando conobbi Duke. Quando ero l’attrazione principale al Plaza Hotel con i Swanee Serenaders, Duke faceva il lavapiatti lì! Io ero una star! Non me l’avrebbe mai perdonato… Lo prendevo in giro tutto il tempo.
SF: Torniamo indietro per un minuto. Quando eri a scuola, studiavi percussioni e lettura della musica?
SG: Avevamo un’insegnante molto severa. Insegnava ogni cosa: le basi e i rudimenti. Era molto brava. Insegnava a tutti come leggere la musica. Non era niente di difficile, era una cosa nella media. Non era musica difficile. Molto semplice.
SF: Così dopo il liceo, fu la fine dei tuoi studi formali?
SG: Fu così. Sapevo in che direzione stavo andando. Nessuno poteva dirmi niente. I ragazzi al mio tempo erano più interessati a suonare nel modo corretto. I ragazzi ora non lo fanno come facevamo noi. Io non mi esercitavo mai fuori di scuola quando ero a casa. Man, mai! Mi avrebbero ucciso se battevo sui tamburi intorno a casa. Mi mettevo sotto e mi esercitavo a lavoro. Provavo qualcosa e se mi piaceva lo tenevo. Se non mi piaceva, lo buttavo via. Non ho mai suonato in modo meccanico nella mia vita.
SF: Quando hai conosciuto davvero per la prima volta Duke?
SG: Un giorno stavo in un angolo con Duke, Toby Hardwick, Claude Hopkins, Peter Miller ed i suoi due fratelli. Eravamo lì, ma io stavo in disparte! Mentendo come un cane! Ma non avevano mai visto nessuno come me. Duke era sempre calmo e timido, ma c’era un ragazzino lì, uno dei fratelli Miller… Era come Jo Jones, sempre in testa al palcoscenico. Così lo feci fuori. Non era mai stato al di fuori di Washington, ed io stavo parlando di New York e di Fats Waller, Willie The Lion [Smith], James P. Johnson. Dissi: “Ragazzo, questi sono i miei amici del cuore!”. Mentendo come un cane, dissi: “Ragazzo, noi usciamo sempre insieme”. Rimasero a bocca aperta. Sai com’era Duke. Lo presi e così ogni volta che vedevi me, vedevi anche lui e Toby. Non eravamo una band, ma se Duke prendeva un lavoro, io ero lì. Se Toby prendeva un lavoro io ero lì. E nel frattempo avevo altri due lavori.
Una sera partecipammo ad un concorso amatoriale al teatro. Il premio era qualcosa come 25 dollari. Duke conosceva due pezzi: “Soda Fountain Rag” e “Carolina Shout” che aveva imparato da un rullo di pianola. Vado alla sala da biliardo e dico ai ragazzi che li voglio al teatro come claque. Dico: “Quando Duke va su, deve vincere quel premio perché abbiamo bisogno di soldi!” Così Duke va e suona il suo “Carolina Shout” e quei tizi si alzano in piedi, acclamando e spaventando Duke a morte. Duke dice: “Ho preso i soldi” ed io rispondo: “Dammi i miei”. Lui fa: “Per cosa?” ed io: “Non hai sentito tutta quella cagnara? Ero io là sotto, man”. Così ci facemmo una bella cena in un ristorante ed una caraffa di corn whiskey. Così, ogni volta che c’era un concorso Duke diceva “Ehi! Porti il fan club?” ed io rispondevo “Yeah!”
Una sera in un altro teatro non c’erano soldi in palio. Il premio era una valigia. Dissi: “Che cosa ci facciamo con questa valigia? Non dobbiamo andare da nessuna parte”. Così mettemmo su il solito fan club e Duke vinse la valigia. La prendemmo e la demmo in pegno. Duke mi guardava con stupore.
Toby aveva un ignobile macinino che per farlo partire bisognava spingerlo per metà isolato. C’è un grande parcheggio a Washington chiamato Rock Creek Park. Il presidente Wilson era lì, in una di quelle lunghe auto Pierce-Arrows. La nostra macchina stava correndo giù dalla collina per farla partire quando i freni si rompono! Stavamo correndo giù dalla collina e vedevamo tutte quelle Pierce-Arrows andare da qualche parte. Ma noi non riuscivamo a fermare la macchina! Tutta l’FBI e tutti quelli che erano lì saltarono fuori dalle loro auto. Non sapevano cosa stesse succedendo. L’FBI dovette fermare tutta la scorta, con il presidente e tutti gli altri. Toby schiantò l’auto contro un albero e noi saltammo fuori e quelli dell’FBI ci dicono: “Cosa diavolo state facendo, ragazzi?”. Eravamo terrorizzati! Dico: “Signore, i freni non hanno funzionato. Questo è il motivo per cui siamo venuti giù di corsa dalla collina”. “NON SAPETE CHE QUELLO È IL PRESIDENTE?”, “Sì signore”. Beh, tu diresti che qualcuno abbia fatto lo Zio Tom… Ragazzo, feci giusto la mia routine. Era un classico. Dissi a Toby: “Non salirò mai più in macchina con te”. Il giorno dopo ero di nuovo nella stessa ignobile automobile.
SF: Poi il nucleo di quella che sarebbe diventata l’orchestra di Ellington si trasferì a New York?
SG: Fats Waller venne a vedermi. Aveva una band a quel tempo, ma i musicisti avevano iniziato una faida tra di loro e si erano ritirati. Fats dovette lasciare lì ed aprire a New York. Ero l’unico a Washington che conosceva. Mi fa: “Sonny, sono stato a Washington abbastanza. Ti piacerebbe andare a New York?”. Gli dico: “Yeah, sono pronto a tornare”. E lui: “Puoi metter su una band da bar?”. Rispondo “Yeah man. Quanti ne vuoi?”, “Cinque o sei”. Così presi Duke, Arthur Whetsol e Elmer Snowden. Quattro. Io e Duke andammo prima, Toby venne più tardi. La sua zietta viveva a New York e noi dormivamo nel suo appartamento. La prima sera portai Duke al Capitol Palace Cafe. Ci suonava Willie The Lion. The Lion mi aveva visto, ma non lo conoscevo bene. Così frequento The Lion e mi metto a parlare di brutto su di lui. Gli dico: “Lion, vecchio mio, voglio presentarti il numero uno, il mio amico Duke, di Washington”. Dice: “Siediti, ragazzo” ed io: “è un pianista, Lion”. Duke non aveva mai visto nessuno come quello. Aveva sentito parlare di lui, così Lion iniziò a suonare. Aveva una sommaria band e come suonavano, man! Dopo un po’ Lion dice a Duke: “Ehi, ragazzo, suona qualcosa per me. Fammi sentire”. Duke si mette lì e suona “Carolina Shout” proprio come James P. Johnson. Lion fa: “mi piace”. Una sera James P. venne nel caffè. Lion disse a Duke. “Suona quella roba di nuovo”, così Duke suonò la stessa cosa che James P. aveva suonato sul rullo di pianola! E James P. disse: “Oh yeah. Mi piace”. Da quel momento in poi fummo molto intimi.
SF: Quando ascolto le prime registrazioni di te con Elmer Snowden, molte delle cose che suoni con le spazzole sono all’unisono con il ritmo del banjo. Era qualcosa che facevi consapevolmente?
SG: No. Entrambi ascoltavamo il piano. Il piano era predominante. Ascoltavamo sempre quello. Il bassista? Non dovevamo mai ascoltarlo. Anche lui ascoltava il piano, perché i pianisti fanno così tanti cambi [di ritmo] differenti. Il pianista sta nel mezzo di tutto. Tutti i pianisti sono pazzi. Devi sapere questo. Puoi anche darmi mille dollari e non riuscirei a dirti cosa Brooks sta per suonare. Neanche lui sa cosa sta per suonare. Nessun pianista lo sa. Suonano come si sentono di suonare. Nessun pianista al mondo va avanti con un pattern stabilito. Non mi interessa chi è. Non suonano mai la stessa cosa due volte. Il migliore al mondo neanche lo fa.
SF: Beh, neanche i migliori batteristi, giusto? Tu non suonavi niente allo stesso modo.
SG: No. Devi essere sempre sveglio. Quando io, Brooks e Russell Procope suonavamo al Gregory’s di New York, man, suonavamo tanta di quella roba. I ragazzi non ci credevano! Pensavano che fosse tutta roba nuova. I ragazzi normali pensavano che fosse roba nuova, man. Ma non era niente di nuovo! Erano le stesse cose che suonavamo molti anni fa. Iniziammo lì per suonare per due settimane e ci rimanemmo quasi quattro anni. Quel piccolo vecchio posto era affollato, pieno zeppo. Non riuscivi neanche a camminare, dal lunedì alla domenica, con la pioggia o col sole. Man, quel posto non è mai più stato così.
SF: Devi sentirti alla grande a suonare ancora, no?
SG: Oh yeah. Sai una cosa divertente? Su al West End Cafe il lunedì sera quel dannato posto diventa sempre più grande. Quella è la peggior serata della settimana. Nessun locale fa soldi il lunedì. Ti volti e la prima cosa che vedi è un sacco di gente, e sta lì proprio per me e Brooks. È tosto. A volte abbiamo portato pure un contrabbassista strepitoso: Aaron Bell. È bravo. Insegna in qualche college in New Jersey.
SF: Quali batteristi ascoltavi quando tu emergesti? Andavi mai a guardare dei batteristi che ti eccitavano?
SG: No.
SF: Mai? Non hai mai visto Chick Webb o…
SG: Chick era un buon amico mio e di Duke. Mi piaceva. Tutti quei ragazzi suonavano. A quel tempo o lo dimostravi o tacevi. Non c’erano vie di mezzo. O eri bravo o te lo potevi scordare. C’erano così tanti batteristi che suonavano. Veri artisti. Kaiser Marshall era un grande batterista. Walter Johnson era un mio buon amico. Era un bel tipo. Veniva spesso al Gregory’s prima che si ammalasse di brutto.
Man, noi non avevamo sere libere! Non avevamo tempo di fare visita a nessuno. Se mi ci imbattevo, bene, altrimenti scordatelo. Eravamo così impegnati che non avevamo tempo. Lavoravamo tutte le sere incluso il lunedì e la domenica. Nessuna sera libera. Man, capitava che il Cotton Club si prendeva un intero show e la band per un concerto di beneficenza in un hotel. Ne facevamo almeno uno a sera. Il Cotton Club era il posto. Roba d’alto livello. Tutti quei ricchi di downtown vivevano al Cotton Club. Se venivi a New York e non andavi al Cotton Club, non avevi visto New York. Si pensava che Harlem fosse il paradiso. E lo era! Chiunque di downtown veniva su e se ne andava ovunque, a qualsiasi ora della notte. Non si sentiva mai parlare di aggressioni e quella roba là. Era bellissimo.
SF: Sonny, puoi darci un’idea di com’erano quei locali che vendevano alcol di contrabbando?
SG: Oh sì. Cantavo con la band. Man, Leo Bernstein, il nostro manager, faceva così tanti soldi e si ubriacava così tanto che per poco non mi dava il registratore di cassa. Sapevo quando era ubriaco. Tutto ciò che dovevo fare era cantare “My Buddy” e potevo prendere qualsiasi cosa al mondo! Così Fats Waller stava suonando il piano per il maestro di cerimonie dello show, Bert Howell. Duke non stava suonando il piano. Così io e Fats andammo su e facemmo un po’ di intrattenimento, cantando quelle canzoni un po’ spinte. Facemmo così tanti soldi con le mance, che Duke rimase con gli occhi fuori dalle orbite! “Ehi, man, suonerò io il piano”. Dissi: “No, no. L’abbiamo preso io e Fats”. Avevamo 7 o 8 ragazze che Leo Bernstein aveva assunto come hostess, ma stavano lì per gli addii al celibato. Così, man, non si sedevano con nessuno finché le loro tasche non erano a posto, mi capisci? Così noi ci voltammo verso il piano dove loro si sarebbero sedute. Fu il primo posto in cui facemmo centro. Man, il tizio ci voleva dare 2 dollari. La ragazza gridò: “Cosa ci fanno con 2 dollari? Non ci fanno niente!”. Così il tizio provò a impressionare le ragazze, fece colpo, e noi gli mettemmo una di quelle belle. Ma quando Leo Bernstein era ubriaco, dissi: “Le notti sono lunghe finché ci siamo noi, my Buddy”. Man, quello iniziò a piangere e si mise le mani in tasca. Io e Fats dicemmo: “Ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta!”. Era l’epoca del proibizionismo e si suppone che non si vendesse whiskey. Le persone non potevano prendere alcun whiskey finché non mi vedevano, perché ricordavo le facce di tutta quella gente. Disse: “Sonny, quelli laggiù vogliono del whiskey. Li devo servire?”, Dissi: “Sì, sono a posto”.
BK: Sonny era l’osservatore.
SG: E non ho mai fatto un errore.
BK: E quando gli agenti federali facevano irruzione, quel posto si trasformava in una chiesa e Sonny veniva fuori dicendo: “Non serviamo niente se non vino. Questa è una chiesa”.
SF: Come facevi a sapere quando gli agenti federali avrebbero fatto irruzione?
BK: Il campanello. Era un seminterrato.
SG: Avevamo un portiere di nome Slim che riusciva a fiutarne uno lontano un miglio. Slim si sbrigava a suonare il campanello. Non appena il campanello suonava, diventava un locale diverso, man. In un minuto tutti i pannelli venivano rigirati e l’intero posto assumeva un’atmosfera differente.
SF: Durante l’epoca delle big band, le band suonavano per i ballerini, giusto? Non era come suonare per dei “musicisti”?
SG: Noi non avemmo mai un ruolo nel suonare per i musicisti. Se capitava che erano lì… erano lì! Ma suonare direttamente per loro? Non lo facemmo mai. Quando Fletcher Henderson era al Roseland Ballroom, lui suonava per i ballerini. Benny Goodman pure. Ricordo che veniva ospitata una guest band ogni settimana al Savoy Ballroom. Tutte le big band ci andarono, ma la band di Chick Webb le faceva tutte fuori. Così un giorno arrivò il nostro turno.
Chick aveva dei ragazzi così forti. Noi suonavamo all’Apollo Theater la settimana prima di andare a suonare contro Chick. Così tutti accorrevano all’Apollo a dire “Man, nessuno ha mai fatto fuori Duke, ma Chick può riuscirci perché è tutta la settimana che provano”. Duke semplicemente rideva. Non gli dava peso. Noi non provammo. Semplicemente suonammo nello show. Noi non avevamo tempo di provare alcuna band. Chick aprì. Il posto era affollato, poiché Chick era di casa al Savoy. I suoi ragazzi ebbero una grande ovazione. Noi ci mettemmo dietro ad ascoltare.
BK: Se una band finiva su un accordo di Do settima, Duke sapeva abbastanza bene come risolvere il successivo accordo più alto per l’inizio del loro primo pezzo. Ad esempio, se Chick finiva su un accordo di Do maggiore, Duke partiva da un Do maggiore a un Do settima a un accordo di Fa. Non solo lo risolveva… lo tirava su. Così, aveva un effetto che sollevava chi ascoltava.
SG: Salimmo sul palco e Duke suonò un po’ il piano – giusto io e lui fino a quando lanciava le ultime quattro battute – finché suonava la tonica e noi sapevamo cosa avremmo dovuto suonare! Aprimmo con “Rockin’ In Rhythm”. Le persone si alzarono e applaudirono. La gente non ballava! Si misero intorno al palco. Riprendemmo dove Chick aveva lasciato e andammo sempre più in alto. Chick scuoteva la testa. “Perché devi suonare tutta quella musica fin lì?”. Il tipo che ci aveva scritturato lì disse “Chick, suppongo che suonerai meglio i valzer ora”.
Ma Duke ed io andavamo pazzi per Chick. Ed egli andava pazzo per Duke. Chick chiese: “Duke, l’hai fatto per me?” Duke disse: “Man, abbiamo solo suonato per una serata, questo è tutto”. Poi tornammo al Cotton Club dove li demolimmo di nuovo.
Sonny Greer fa comparire una foto di un enorme drumset. Il set era così impressionante che ne fu fatta una menzione speciale nel libro di Jim Haskin, The Cotton Club: “Greer e le sue percussioni fornivano il fuoco della musica della band (di Ellington). Aveva un’incredibile batteria di percussioni, ogni cosa, dai tom, ai rullanti ai timpani e una volta appurato che la band sarebbe rimasta per un po’ in un club, si portava davvero bella roba. Sonny più tardi ricordò: ‘Quando prendemmo il lavoro al Cotton Club, divenne molto importante come ci presentavamo. Ero un designer per la Leedy Manufacturing Company di Elkhart, in Indiana, e il presidente della compagnia aveva un favoloso set di batteria fatto per me, con timpani, campane tubolari, vibrafono, ogni cosa. I musicisti venivano al Cotton Club solo per vederlo. Il valore era di tremila dollari, molti soldi per l’epoca, ma divenne un’ossessione con i malviventi, che facevano pressione sulle band per avere batterie come la mia e spesso anticipavano soldi per essa’. Con un tale equipaggiamento, Greer, poteva produrre ogni possibile suono di tamburo, e al Cotton Club impressionava i clienti, facendo comparire come per magia guerrieri tribali, le tigri mangiatrici di uomini e i danzatori di guerra. Ma i suoi ritmi erano solamente il fuoco del suono della band”.
SG: Il mio cameriere personale faceva splendere la mia batteria come oro. I tamburi avevano i cerchi e i blocchetti cromati eccetto per i piatti e i gong che erano dorati. Il cameriere li teneva luccicanti come diamanti. Molto costoso.
SF: Avevi disegnato tu quel set?
SG: Sì. Normalmente i batteristi non usavano tutta quella roba. Io avevo ogni cosa. Timpani, vibrafono, campane tubolari e altri tamburi. Usavo il vibrafono solamente per degli accordi sotto i cantanti. Non sono Lionel Hampton. A Duke piaceva venire lì e suonarli tutto il tempo. Io disegnai molti tamburi per Leedy. Quando uscì il primo timpano a pedale, io aiutai a disegnarlo. Molti rullanti, tom e differenti idee sulle spazzole e una linea di piatti.
SF: Leedy costruiva i propri piatti?
SG: No. Zildjian a Boston. Gli diedi molte idee. Molti pochi batteristi lo sanno, ma puoi riconoscere un buon piatto dalla campana. Se la campana non è troppo a punta – più piatta – avrà un suono migliore.
SF: Eri solito smorzare i piatti per gli accenti.
SG: Oh sì. Man, è passato così tanto tempo che me ne sono dimenticato. Era solo qualcosa che facevo, tutto qui.
SF: Riuscivi ad usare il tuo set Leedy in studio di registrazione?
SG: No. C’era sempre un set di batteria nello studio di registrazione. Se volevo qualcosa di speciale prendevo la mia roba. Ma c’era sempre un tecnico che era molto preciso. Voleva che ogni cosa fosse perfetta. Non è come si sente ora. Alcune di queste persone d’oggi non suonano. Senti dei gatti di campagna, man, non stanno suonando! Non sono capaci a cantare, non suonano. Sono patetici.
BK: Sonny aveva un cameriere di nome Jonesy che intonava sempre la cassa di Sonny in SOL.
SG: Sempre. Ne sapeva più sulla mia batteria di quanto non ne sapessi io. Ragazzo, era qualcos’altro. Lui e Ivy Anderson non andavano mai d’accordo. Non erano nemici – erano amici. Ogni volta che lei voleva qualcosa non voleva che nessuno andasse se non Jonesy, e Jonesy non le dava mai il resto. Lei dava a Jonesy venti dollari per del pollo arrosto o qualcos’altro e diceva “Jonesy, dammi il resto” e lui rispondeva “Non c’è resto”. Lei perdeva la testa! Ivy si infervorava, man. Jonesy non dava mai il resto a Duke, non dava mai il resto a me.
Una volta un tizio diede in regalo a Duke una delle più belle fisarmoniche. La tenevano nel bagagliaio. Viaggiavamo sempre col nostro proprio pullman. Jonesy vide la fisarmonica e la vendette! Qualche settimana dopo Duke disse “Jonesy, prendi la mia fisarmonica” e Jonesy rispose: “Man, non riesco a trovarla da nessuna parte”. L’aveva venduta! Era un personaggio. Era stato un fattorino del Cotton Club ed era così simpatico che Duke gli chiese “Ti piacerebbe venire in viaggio con noi?” e lui disse “Yeah”. Così lo prendemmo con noi. Era un grande. Faceva qualsiasi cosa per essere in un certo posto ad una certa ora. Lui ed io eravamo i primi in teatro. Quando la band arrivava noi avevamo messo su l’intero set. Tutto. Tutti i camerini erano spenti. Potevi fidarti ciecamente di Jonesy. Non lasciava toccare la batteria da nessuno. La conosceva a menadito.
SF: È vero che usavi le pelli dei timpani sulla tua cassa della batteria?
SG: Sì.
BK: Era così che si accordava con il bassista. Il bassista prendeva un Si e Sonny un Sol sulla cassa ed erano in perfetta armonia. O un Re in armonia col Sol. Blanton prendeva sempre un Re.
SG: Fu mia l’idea di usare le pelli dei timpani e Duke pensò all’idea di intonarle. Fui il primo a provare l’hi-hat. Leedy costruì il primo hi-hat ed essi mi inviarono uno degli originali. Lo usai al Kentucky Club.
BK: Lo inviarono lo stesso giorno a Chick Webb e a Chick non piacque! Sonny, chi fu il primo batterista che hai mai ascoltato suonare il ritmo jazz sul piatto ride?
SG: Penso fu Kaiser Marshall quando era con la band di Fletcher Henderson.
SF: C’era un certo legame tra i batteristi degli anni Trenta e Quaranta?
SG: Eravamo tutti amici. Amici stretti. Socializzavamo. I musicisti erano tutti più intimi in quell’epoca. Tutti andavano a visitare tutti e ci si frequentava. Oggi è un’atmosfera diversa. I ragazzi? Non puoi dirgli niente oggi. O agisci o taci. Se tentennavi passavi brutti momenti. Ma se tu suonavi bene, ti venivano a vedere. Ti dicevano se eri in grado di suonare. Era un piacere essere circondato da ragazzi come quelli perché c’era molto affiatamento. Mi chiamavano “The Sweet Singing Drummer”. Ragazzo, io avevo più gente che mi odiava.
SF: Perché?
SG: Perché venivamo trasmessi alla radio da costa a costa ogni settimana. Cantavo con la band e avevamo un po’ dei migliori annunciatori del giro. Man, suonavamo tutti i migliori pezzi in un’ora. Se eri uno che lavorava dopo le sette di sera… beh, nessuna preparava la cena per il proprio marito! I mariti lavoravano tutto il giorno ed odiavano la nostra band. Dalle sei alle sette ogni cosa si fermava. Se non avevi mangiato prima del nostro show, ti diceva male.
SF: Quando l’orchestra lavorava sui brani musicali, come affrontavi gli arrangiamenti? C’erano molte prove di preavviso per eseguire le canzoni?
SG: Eravamo l’unica band che non suonò mai lo stesso concerto alla Carnegie Hall due volte. Duke scriveva musica appositamente per esso. Ogni concerto che facevamo, suonavamo pezzi diversi. Non venivi lì per ascoltare “Oh, Susanna” o una di quelle canzoni trite e ritrite. Avevamo musica nuova di zecca per ogni concerto alla Carnegie Hall e noi ci suonavamo ogni anno. Per noi ogni giorno era un nuovo giorno e una nuova sfida.
SF: Usavi degli spartiti per la batteria per gli show nei club?
SG: No, man. Suonavamo come ci sentivamo di suonare, proprio come facciamo adesso.
SF: Quando hai conosciuto per la prima volta Jo Jones?
SG: Jo era all’Ovest nel 1936. Era il mio number one. Era diverso da tutti. Lo vidi con Basie a Kansas City da qualche parte, con la band di Bennie Moten. Mi piaceva proprio Jo. Era lo stesso Jo Jones che conosci ora. Mi chiama “Mr. Empire State Building”. Un Natale trovò il più vecchio paio di scarpe che potesse trovare, le impacchettò e disse: “È il tuo regalo di Natale. Mi è costato molto”. Man, doveva aver posseduto quelle scarpe un migliaio di anni! Erano impacchettate tutte per bene, man. Le lanciai nella pattumiera. La volta successiva che lo vidi glielo dissi: “Sonny, parlami del regalo di Natale che ti ho dato!”
SF: Mentre la batteria progrediva per tutti gli anni ’30, ’40 e ’50 con gente come Jo Jones a seguire, ti piaceva cosa stava succedendo?
SG: Beh, Jo Jones suonava come suona ora. Non ha cambiato mai il suo modo di suonare. Non che io sappia, e l’ho visto molte volte.
BK: E di Davey Tough che dici?
SG: Beh, quando Davey uscì dalla Marina, stava suonando al Chicago Theater e si fermò a Chicago e trovò un hotel dove fermarsi. Il direttore mi chiamò e disse: “C’è un ragazzo qui che si è appena congedato dalla Marina, il suo nome è Davey Tough. Ha detto che è un tuo buon amico. Lo lascio salire in camera?” Gli dico: “Certo. Dagli ciò che vuole”. Era mezzo malato. Fu l’ultima volta che lo vidi. Un bel tipo. Bravo batterista. Era uno di quelli bravi. Non solo a suonare, intendo come persona. Era un grande. Non pensavo che fosse così malato. Morì poco dopo che tornò a casa.
SF: Hai avuto occasione di vedere gente come Kenny Clarke al Minton’s, e Max [Roach]e Art Blakey?
SG: No. Vedi, quando finivo un lavoro, poi non andavo mai da nessuna parte. La gente diceva sempre: “Passa qui”. Ma erano per lo più musicisti di strumenti a fiato che andavano in quei posti. I veri batteristi e bassisti evitavano quei posti perché ogni volta che andavano lì, c’era qualcuno che voleva che si mettessero a suonare, per accompagnare qualcuno.
BK: E ti tocca suonare 99 milioni di chorus di “I’ve Got Rhythm” per accompagnare qualcuno.
SG: Non ci andavo mai.
Una volta stavamo suonando allo Stanley Theater di Pittsburgh. Scendo dal palco e mi trovo un ragazzino che mi dice: “Signore, hai una pelle di tamburo?”, risposi “Yeah”. Mi sono sempre piaciuti i bambini. Così lo portai dietro le quinte e gli diedi un intero tamburo. Mi dimenticai di questa cosa. Anni dopo, un gruppo di batteristi stava chiacchierando giù a Broadway e un batterista dice: “Ti ricordi quella volta che tu mi hai dato un tamburo? Io sono il bambino che venne nel backstage e tu gli regalasti il tamburo”. Era Art Blakey.
SF: Cosa c’è in programma per te e Brooks? Sheila stava parlando di un disco.
BK: Non solo quello, ma lei sta provando ad organizzare due o tre settimane per Sonny e me. Esclusiva.
SF: Il libro di Sonny è certo?
BK: Sì. Non uscirà prima del 1982. Sonny lo sta scrivendo. Il titolo provvisorio è I Wax There.
SG: È proprio l’opposto di Music Is My Mistress di Duke. Sono successe così tante belle cose.
SF: Ascolti ancora musica, Sonny?
SG: Sono andato a vedere Sophisticated Ladies[4]. La band era molto buona. Hanno reso il palco come il caffè del Cotton Club. Bellissima illuminazione. I canti e i balli erano la fine del mondo. Duke sarebbe stato orgoglioso di ciò.
SF: Ascolti più i batteristi?
SG: Non faccio caso a cosa fanno.
SF: Con quale set stai suonando al West End?
SG: Leedy. Quella batteria è l’ultimo set prima che Leedy vendette a Ludwig. Dovrei rifarla perché molti specchi si stanno staccando.
SF: Come hai imparato a suonare con le spazzole?
SG: Non importa quanti soldi mi hanno offerto, è una domanda a cui non posso rispondere. Era più facile suonare con le spazzole che con le bacchette. Molto più facile!
SF: Vuoi dire qualcosa per concludere?
SG: Non ho mai deluso i ragazzi della band. Potevamo prendere un sostituto per un sassofono, una tromba o un trombone, ma Duke ed io eravamo indispensabili. Mia madre morì quando stavamo lavorando al Lafayette Theater. Dissi: “Duke, non voglio andare” e lui disse “Tu devi andare”. Duke era solito chiamare mia madre “mama”. Sai chi mi sostituì? Kaiser Marshall. Ma non su la stessa cosa. Il mio unico rimpianto è che mia madre e mio padre non mi videro mai suonare.
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